E’ strano come alcuni luoghi ti entrino sotto pelle, nonostante non ci sia nulla di ancestrale che ti leghi a loro. D’altro canto avviene nella natura umana, lo chiamiamo: amore.
La mia storia tra queste montagne inizia presto, avevo tre mesi, ho iniziato a muovere i primi passi proprio su questi sentieri. Li ho vissuti per quasi mezzo secolo, ma sono e rimarrò sempre, un “foresto”. E’ così che chiamano da queste parti, per fortuna, i non Ampezzani. Un nomignolo che sembra “prenderti le misure”, ma se conosci la storia, tutto assume un aspetto diverso. E’ così che questi luoghi sono arrivati fino a noi nonostante siano passati di mano più e più volte nel corso dei secoli. Il rispetto e la cura dei boschi e degli alpeggi ha radici lontane (578 d.c) e lo scopo di rendere possibile la sopravvivenza attraverso l’uso collettivo del territorio. La comunità Ampezzana da oltre 1.500 anni tramanda di padre in figlio l’uso produttivo e conservativo del territorio.
L’idea di questo progetto è nata su queste salite, percorse come sempre in silenzio, cancellando mentalmente le distanze dalle vette che mi circondano. Qual è la realtà oggettiva quando i sensi sono in conflitto? Tentavo di mettere a fuoco quell’illusione ottica che ti rende per alcuni secondi avulso dal tempo. Parlo di quel piacevole disorientamento che si prova osservando dal finestrino di un treno quando non sai se a muoverti sei tu o il collega del binario accanto. Ho iniziato a ripensare al tempo, quello realmente percepito: “tra 70 anni sui libri di storia ci collocheranno come a.@ – d.@“ mi sono detto.
Negli ultimi 50 anni siamo passati dal dattilografare una lettera, affrancarla e spedirla sicuri di una pronta risposta in 10 giorni a scrivere una email ed aspettarci un “reply” in 10 minuti. Nel ’78 avevamo 3 canali d’informazione che inondavano l’etere con 26.000 ore di contenuti l’anno, oggi i “sixty munutes” sono saliti ad oltre 1.000.000. E’ indubbio che questa accelerazione ci ha portato a vivere a una velocità nella quale diventa quasi impossibile cogliere i dettagli che, per mio sentire, rappresentano il vero sapore delle cose. Proprio in quell’istante ho scelto di fermarmi lì, precisamente nel mezzo e proprio in quello spazio, un Patrimonio dell’Unesco, ho deciso che il mio tempo lo avrei, di nuovo, scandito io. Quando osservo questi paesaggi percepisco un “caos calmo”.
La loro unicità risiede nella conformazione geologica dei rilievi montuosi che formano le Dolomiti d’Ampezzo. Nel Triassico (250 – 201 milioni di anni fa) erano scogliere coralline divise da stretti bracci di mare. Questa particolarità, nei millenni, ha connotato individualmente i singoli massicci rocciosi, rendendoli diversi dalle classiche catene montuose. Queste monadi di dolomia, più o meno imponenti, sono disseminate senza un particolare ordine su livelli diversi ognuno dei quali compone un piano dell’immagine. La prospettiva da un lato, il sole e le nuvole che disegnano la luce dall’altro, ci restituiscono un’ immagine complessa ma armonica, con vari livelli di lettura e piani d’osservazione.
Aggiungiamo a questo “caos calmo” la natura che circonda queste vette ed il gioco è fatto. Per qualsiasi fotografo è come tornare bambino e ritrovarsi magicamente la notte di Natale in un negozio di giocattoli. Se hai educato il tuo sguardo anche solo con la curiosità, puoi riconoscere scorci rinascimentali che sembrano disegnati da Leonardo, stampe giapponesi dell’ottocento tanto care a Van Gogh, forme di espressionismo astratto o inquadrature in bianco e nero tipiche dei film di John Ford.